Dalle Città di carta alle città di Erode. Il furto degli spazi e del futuro nella narrativa per adolescenti
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https://doi.org/10.6092/issn.1970-2221/6711Parole chiave:
letteratura per l’infanzia e l’adolescenza, città, distopie, immaginario collettivo, adolescenzaAbstract
Con il suo sacrificio, il piccolo soldato Nemecsek de I ragazzi della via Pal ha predetto e certificato la fine di un’era, quella in cui i ragazzi erano padroni della città, liberi di correre per ore, costruirsi quartier generali e guerreggiare, piazzare la propria bandiera ad attestare il pieno controllo di un territorio, sentito proprio.
Ad oltre centodieci anni di distanza, leggendo libri contemporanei per adolescenti, si ha la chiara impressione che la città nemmeno esista, almeno intesa nella sua declinazione spaziale, di tessuto urbano fatto di strade, case, piazze; che, tolti rari casi cui qui accenniamo, sia un retaggio quasi mitico, così come una figura ormai mitica appare il giovane flâneur.
Se l’idea di città viene invece coniugata dal punto di vista sociale, di sistema di rapporti umani, di organizzazione politica, la situazione si rovescia, e la sua presenza diventa nell’ultima decina di anni anzi addirittura ossessiva, tra la Repubblica di Platone e 1984 di Orwell. Basti pensare all’emergere impetuoso del genere di più ampio successo recente, che in precedenza non si era quasi mai manifestato: la distopia, che ha al centro proprio l’organizzazione, distorta e tremenda, della comunità.
Cosa comporta questa perdita, o trasformazione, dal punto di vista pedagogico?
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